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L'ospitalità, un valore di cui si è perso il ricordo

Xenia era il valore principale della cultura greca: l’ospitalità era sacra, e l’ospite divino, protetto dal sommo Zeus; si narra addirittura nell’Iliade che, durante il duello tra il campione dei greci Diomede ed il troiano Glauco, la probabile fine di Glauco, che poche possibilità di successo aveva dinanzi all’ira dell’eroe, venne scongiurata proprio dal ricordo di un rapporto di reciproca ospitalità scambiata dagli avi dei 2 combattenti. La letteratura greca è piena di questi esempi, più o meno eclatanti, ma che dimostrano un’incredibile naturalezza del popolo greco nell’essere umani. È infatti questo il nocciolo della questione: l’ospitalità dovrebbe essere uno dei  valori base della nostra cultura, fortemente legato a quell’empatia umana che ha portato la specie a progredire più di tutte le altre a noi conosciute; serve a poco l’evoluzione, la maggior capacità cranica, l’intelligenza, se non siamo capaci di utilizzare questi strumenti a favore della prosperità del gruppo. Ma tutto ciò nulla ha a che fare con la cultura occidentale del XXI secolo, l’uomo oggi infatti dimentica, o meglio, non ascolta chi bussa alla porta, chiudendosi nella propria casa, bastione contro ogni rischio di contatto con la società. La remunerazione, il pagamento di una somma di denaro è l'unico modo per poter avere un tetto sotto cui dormire nella nostra era, l'uomo supplice è scacciato, e si vedono addirittura aculei a proteggere le porte dei palazzi, affinché non solo il poveraccio non riceva una casa calda dove riposare, ma neanche un pavimento che non sia la strada. Il possesso è la parola del secolo, che fastidio darebbe un uomo che di notte dorme davanti ad un'attività commerciale? Nessuno, è ovvio, ma il solo concetto secondo il quale quel pezzo di mondo appartenga a me lo esclude dall'utilizzo di chiunque altro, l'uomo cerca di elevarsi a padrone, a potente, anche quando non ha niente, anche quando i suoi simili cercano un bene essenziale, consegnabile senza nessun costo. La volontà di essere padroni ci rende padroni di nulla, tanti generali che combattono tra di loro per capire chi possieda di più. Ultimo inno, ultima apologia dell'ospitalità la vedo scritta dalla penna di uno degli uomini più affascinanti dello scorso secolo, Ernesto Guevara de la Serna, che nei suoi diari di viaggio racconta di un Sudamerica ancora arretrato, ma sicuramente più umano, dove, soprattutto nelle popolazioni indios, si notava quello spirito di empatia per il viaggiatore/vagabondo che spingeva il possessore di poco, a condividere quel poco col suo simile, mentalità inversa rispetto all'uomo contemporaneo, ricco di denaro ma povero di vita. La brama di possesso, invece di aprire, spinge a rinchiuderci soli nelle nostre case, sazi, al caldo, ma soli, degenerando il nostro status di umani, in semplici consumatori alla ricerca dell'avido guadagno da proteggere, perché frutto di un lavoro, di uno sforzo, di un pagamento che va contraccambiato, e ciò che è ricevuto valorizzato, tenuto al sicuro da tutto il resto. La deriva capitalistica c'ha portato a questo: a dimenticare di essere umani, e a vedere la perfezione e il desiderio in ogni prodotto della società, eccetto quello più bello: noi.

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