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di Michael Alliegro
Agli studenti liceali che al terzo anno si imbattono nello
studio della filosofia viene detto che quest’ultima si propone di abbattere
ogni barriera dell’ovvio per poter far luce sulle zone d’ombra che macchiano il
sapere.
I docenti spesso si limitano ad elogiare l’influenza della
‘sofia’ dicendo che essa ci permette di andare oltre il vacuo mondo terreno ed
esercitare lo spirito critico che ci appartiene, ma non precisano che la
speculazione filosofica incontra degli ostacoli insormontabili.
Infatti, talvolta, neanche la ragione riesce a colmare il vuoto
tra il mondo sensoriale e la tanto agognata verità scientifica.
In questo caso noi stessi, consci dei limiti e delle
debolezze che ci legano indissolubilmente al mondo animale, abbiamo elaborato
delle pseudo-filosofie, note come religioni.
Queste ultime, nonostante cuciano il divario tra metafisica e
filosofia, sono paragonabili a delle droghe di uso comune.
Non a caso il celeberrimo Karl Marx descrisse le religioni
come l’oppio dei popoli.
Infatti la colonna portante su cui si ergono le religioni,
ovvero il dover credere per fede,
sottolinea palesemente come l’uomo si debba snaturare passando da essere
pensante a burattino nelle mani di un creatore.
Riporre la propria fiducia in una religione e credere in modo
incondizionato ai suoi dogmi equivale a vincolare il proprio raziocino e a
renderlo schiavo della convinzione che l’intera realtà sia spiegabile e che non si debba errare alla ricerca della
verità.
La storia della civiltà umana, a partire dal fatidico anno
zero, non ha mai smesso di dimostrarci come la fede ci allontani dall’esercizio
delle nostre capacità filosofiche.
Basti pensare ad un aneddoto verificatosi nel 1099.
Anno in cui il papa Urbano II rivolgendosi alla cristianità disse
di liberare il santo sepolcro, indicendo così la prima crociata.
Contadini e mercenari di tutt’Europa ottemperarono alle
richieste belliche del pontefice e in 100.000 partirono alla volta di
Gerusalemme.
Dopo 3 anni dalla
partenza e dopo essersi sottoposti a fatiche inenarrabili, la numerosa
compagnia guidata da Goffredo di Buglione raggiunse la città Santa.
Nonostante la stanchezza e la sete di sangue fossero state fomentate
dalla lunga attesa e dai pericoli che il cammino presentava, Goffredo anziché
disporre il proprio esercito in vista dell’imminente scontro prese una
decisione discutibile, dettata indubbiamente dalle superstizioni.
Egli ordinò di disboscare un intera foresta per costruire
delle croci con le quali lo schieramento circoscrisse per ben tre volte
Gerusalemme.
Quest’episodio (riportato da Tasso nella Gerusalemme
Liberata) attesta come la mentalità dei credenti sia facilmente soggiogabile e
di come la religione spinga l’uomo a non
appoggiarsi su quel bastone chiamato razionalità che ci consente di non perdere
l’equilibrio.
Oltre agli svariati esempi che ci fornisce la storia (come la
vendita delle indulgenze, le crociate, o la santa inquisizione) anche
l’attualità sottolinea come i credenti siano delle marionette mosse dalle loro
stesse convinzioni.
Basti pensare al radicalismo islamico, un fenomeno dei giorni
nostri che rende i suoi membri schiavi del proprio culto, al punto tale che
essi stessi sono disposti a perdere la vita in nome di Allah.
A questo punto ci verrebbe da chiedere: cos’è che spinge gli uomini
a rinunciare all’uso libero del proprio intelletto?
La risposta va ricercata come sempre nella storia, essa ci
racconta che nel periodo di diffusione del cristianesimo e di altre religioni,
erano davvero poche le persone che sapevano leggere e scrivere e che di
conseguenza avevano quel minimo di cultura per esercitare il proprio spirito
critico e porsi qualche interrogativo prima di credere in modo incondizionato
ad un Dio e ai suoi dogmi.
Oltretutto nel Medioevo, il periodo di massima affermazione del
cristianesimo (qui preso in esame poiché trattasi della religione più diffusa)
ad aggiungersi all’ignoranza vi era un’ulteriore variabile da considerare, la
speranza.
Infatti nel quadro culturale coevo, fortemente lacerato da
guerre, carestie ed epidemie, la scelta dei credenti di abbracciare i dogmi
cattolici era motivata dall’auspicio che un Dio benevolo e onnipotente potesse
compiacersi delle sue creature e salvarle.
Le varie figure storiche meritevoli di essere ricordate nel
volgere dei secoli non hanno mai smesso di mostrarci che l’elemento comune
delle grandi conquiste, in campo militare e non, è la convinzione che l’uomo con le proprie mani possa forgiare
il proprio destino e che non ci sia un Dio che giocando a scacchi con le nostre
vite ne determina i successi e le disavventure.
Ciò significa che bendando la ragionevolezza e le nostre
motivazioni e auspicando che un essere divino possa migliorare le nostre sorti
diventeremo inermi e passivi dinanzi alle sfide della vita.
Se in passato l’analfabetismo e l’inconsapevolezza, innestati
a condizioni di vita precarie, furono i semi per il germoglio delle varie fedi,
in un contesto tecno-scientifico come quello moderno, cosa spinge gli adepti a
riporre fiducia nella religione?
Le esperienze personali?
Una distorsione mentale che porta a non guardare in faccia la
realtà?
Il rispetto delle tradizioni del proprio paese o della propria famiglia?
O semplicemente la volontà di condividere gli ideali di giustizia e fratellanza predicati dalle sacre scritture?
Vorrei chiudere quest’articolo precisando che il mio intendo
non è quello di condividere idee atee o agnostiche ma semplicemente quello di liberare
qualche credente dalle catene che lo imprigionano.
Articolo interessantissimo! Grazie
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