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ELENA DI SPARTA, SANTA O DANNATA?


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Tra le importanti figure incontrate da Dante nel canto V dell’inferno, quello dedicato ai lussuriosi, ne vediamo una meno "rumorosa" delle altre, alla quale, il Sommo Poeta, attribuisce però una colpa enorme. Si, perché all’ombra di uno dei brani più celebri e ricchi di significato dell’intera commedia, vi è un piccolo personaggio, a cui è dedicato un solo verso, ma allo stesso tempo è attribuito un peccato imperdonabile. 
Mi riferisco ad Elena, figlia di Leda, mitica moglie di Menelao, esempio perfetto della lussuria secondo Dante, donna che, travolta da una folle passione amorosa, perde la tanto agognata “retta via” per soddisfare le proprie passioni; e saranno proprio queste a scatenare un’infinita guerra che provocherà altrettanti morti. E la chiara posizione dell’Alighieri è quella assunta dall’intero mondo culturale fin dalle prime edizioni critiche dell’Iliade risalenti al periodo ellenistico.

Ma davvero Elena ha tutte queste colpe?

 È stata la sua lussuria a provocare tutto quello che noi conosciamo o la sua situazione fa parte di un contesto più ampio?

 Insomma: Elena è da considerare santa o dannata?

Dante, infatti, nella sua opera non calcola fattori chiave di lettura della vita della giovane. La donna ha sicuramente colpa, ma quale? Quella di piegarsi ad una volontà superiore, che può essere il rapimento o la persuasione da parte della parola. Cosi Gorgia, nel suo celeberrimo “Encomio di Elena” prende, come in questo articolo, le difese della figlia di Zeus. Nei casi prima elencati, ci suggerisce il sofista, è impossibile attribuire alcuna colpa alla donna, in quanto lei fu “violata e privata della patria” con la forza: fisica, nel caso del rapimento, dell’eloquenza nel secondo caso; ma in entrambe le circostanze sarebbe stato impossibile per una giovane fanciulla ribellarsi all’abilità del rapitore. 

Allora, non dovrebbe piuttosto essere compianta che diffamata? 

A riguardo mi piacerebbe aggiungere all’argomentazione del filosofo, se posso accostarmi al suo nome, una nuova ipotesi: dimentichiamo che, come c’insegna il mito, furono gli dei a portare la donna alla soglia di Paride e, quindi, solo la volontà divina fu causa di tanti mali. 

Poteva una semplice donna muovere una crociata agli abitanti dell’Olimpo? 

E, in un mondo cattolico come quello di Dante, non è proprio la volontà del dio quella da rispettare in ogni caso? 

L’argiva altro non fa che piegarsi a quella forza, anzi, leggiamo nelle strofe saffiche il suo nome elevato ad “exemplum” per eccellenza poiché, nonostante sia capace di amare, è l’essere più devoto, che mai si è opposto alla volontà della divinità.

Un giorno, un docente di lettere, paragonò la figura di Dante a quella di un cubo, poiché, qualsiasi siano le accuse mosse contro la sua teoria, cadrà sempre in piedi.

Ma non è possibile che un cubo cada sulla sua settima faccia? 

Questo caso ne è il più chiaro esempio! 
Non bisogna dare per ovvie delle informazioni soltanto perché esposte da una figura autorevole, ma affrontare la vita con pieno senso critico, interrogandosi su ogni fatto accaduto, anche se, come in questo caso, è proprio Dio in persona a consegnarci le notizie.
                                                Antonio Marsicano

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